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1946 – Come già durante il primo conflitto mondiale, gli eventi sportivi scomparvero da tutti i calendari, ma la motocicletta confermò la grande rilevanza tattica in ogni campo di battaglia, ed il progresso tecnologico proseguì inarrestabile.
Le conoscenze acquisite in tempo di guerra continuarono a dare i loro frutti anche in tempo di pace, facendo il giro del mondo.
La valvola lamellare, ad esempio, la cui prima applicazione su di un motore a due tempi NSU risale al 1920, fu notevolmente perfezionata in seguito al suo utilizzo sulle Vergeltungswaffe (le bombe volanti V1 e V2) messe a punto da Werner von Braun nel celebre poligono di Peenemünde, sul mar Baltico.
Le valvole lamellari erano realizzate negli stabilimenti Porsche, ed al loro sviluppo contribuì Walter Kaaden che, pochi anni più tardi andò a dirigere il reparto corse della MZ, nell’ex DDR.
La conquista del Campionato Mondiale di Cross, classe 250 cc, nel 1973, da parte di una Yamaha ufficiale con tanto di valvola lamellare, fu solo una delle numerose e valide applicazioni di quello che per decenni è stato considerato un segreto militare.
La Seconda Guerra Mondiale sconvolse letteralmente l’umanità, e quando, finalmente, fu posta la parola fine, ci si accorse che nulla era più come prima.
Il mondo, infatti, uscì dal conflitto completamente cambiato e diviso in due blocchi contrapposti.
Stati Uniti d’America ed Europa occidentale, che avevano irrevocabilmente abbracciato una scelta libertaria e democratica, si confrontavano con i regimi autoritari e repressivi, d’ispirazione comunista, che avevano come capofila l’Unione Sovietica.
In particolare la Germania venne tagliata in due: all’Ovest rimase la democratica Bundesrepublik Deutschland (BDR nelle competizioni sportive) e ad Est la “comunista” Deutsche Demokratische Republik (DDR) sotto l’egida appunto del “Blocco Sovietico”-
Ideologicamente ed economicamente contrapposti, si ritrovarono sui medesimi campi di gara pur se con differenti motivazioni.
Questa divisione divenne antagonismo sportivo al limite della leicità anche durante i campionati del mondo di fuoristrada, l’International Six-Days trial, appunto.

Mentre le industrie dell’ovest consideravano le competizioni un ottimo veicolo pubblicitario e commerciale, all’est furono le potenti gerarchie militari a dimostrarsi interessate a questa disciplina sportiva, che consideravano un ottimo banco di prova per testare le effettive capacità dei propri battaglioni motorizzati.
In queste occasioni si potevano verificare sul campo macchine e piloti, ma anche e soprattutto l’organizzazione dei reparti, le comunicazioni, la logistica e le dettagliate mappe militari.
Questa duplice valenza, che permetteva di andare oltre il semplice evento sportivo, favorì la partecipazione, con grande dispiego di mezzi, delle industrie dell’est, del così detto “blocco sovietico”, altrimenti assente in molte altre discipline motoristico-sportive che non presentavano analoghi interessi militari.
Rispetto alle competizioni che precedettero il secondo conflitto mondiale, ci fu anche un cambio radicale nella scelta dei percorsi, ed il passaggio dalla strada al fuori strada fu la sua logica conseguenza, ed anche la sua apoteosi.
Anche la classe sidecar, altro non era che una delle tante implicazioni con il mondo militare, e la loro presenza si protrasse sino al 1956, quando i percorsi cominciarono a divenire impossibili, ma anche quando tutti i mezzi di terra vennero superati e resi obsoleti dalla nuova scienza emergente, la missilistica.
Le grandi squadre dell’est continuarono a partecipare alle competizioni anche in seguito, contribuendo ad accrescere l’interesse generale, grazie all’elevato contenuto tecnologico delle loro moto, finanziate direttamente dallo Stato e forti di tecnologie d’avanguardia, almeno sino alla fine degli anni ’70.
Nell’immaginario collettivo, si presentavano come uomini e mezzi appositamente preparati per affrontare qualunque tipo di percorso, incursori capaci di penetrare agilmente gli schieramenti avversari ed aprire la strada all’armata rossa, che, vittoriosa, avrebbe dovuto portare progresso e libertà in tutto il mondo…
Col senno di poi è legittimo sorridere e tirare anche un respiro di sollievo, ma quelli erano i tempi della guerra fredda e anche una competizione sportiva come le Olimpiadi o la ISDT erano vissuti come una vera e propria esercitazione militare, con l’inevitabile coinvolgimento di spie internazionali, segreti militari trafugati, vicende avventurose e pesanti crisi diplomatiche, come ad esempio, la rocambolesca fuga di un noto ingegnere e pilota impegnato nello sviluppo delle MZ, Ernst Degner, che nel 1961, passò alla Suzuki dove contribuì in modo decisivo allo sviluppo di una nuova generazione di moto da corsa, che raggiunsero in fretta il gradino più alto del podio.
Per questo motivo, non mancarono i colpi bassi, da entrambe le parti.
Alcune Sei Giorni che si svolsero all’Est, furono turbate da misteriosi episodi di “sabotaggio”, sempre a danno delle squadre straniere, bilanciati, a onor del vero, da analoghi comportamenti sul versante occidentale, ogni volta che i “nostri” commissari interpretarono in modo capzioso i regolamenti, sempre a danno dei team d’oltrecortina.
A parte qualche inevitabile risultato discutibile, le moto dell’Est, per anni ai vertici delle classifiche mondiali, collezionarono un eccezionale palmares e furono fra le grandi protagoniste dei primi trent’anni di questo sport.
La punta di diamante della loro produzione fu rappresentata dalle macchine della DDR, Simson e MZ, e della Cecoslovacchia, Jawa e Tatran, ma sino alla metà degli anni ’70, anche l’Unione Sovietica partecipò con proprie squadre e proprie moto alle più importanti competizioni internazionali.
La stessa logica militare che ne aveva favorito lo sviluppo, ottusamente, rese vano ogni sforzo sotto l’aspetto commerciale, poiché impose un rigido segreto militare, che impedì a questi ingenti finanziamenti di divenire remunerativi, generando un adeguato ritorno economico.
Negli anni 70, infatti, avvenne il sorpasso definitivo delle aziende dell’Ovest, proprio grazie al fatto che le moto prodotte in occidente furono commercializzate ed il loro grande successo economico permise alle varie case di reperire i mezzi necessari a continuare nella ricerca e negli investimenti, che si rilevarono poi determinanti per fare crollare, alla fine degli anni 80, l’intero blocco comunista.
Questa non era l’unica differenza fra Est e Ovest, perché mutavano anche le fasce di mercato.
Mentre l’Ovest era più interessato all’aspetto commerciale della motorizzazione di massa ed era quindi concentrato su cilindrate medio basse, intorno alla classe 125, le moto più economiche e più accessibili al grande pubblico, l’Est guardava con maggior interesse le classi adatte ad un uso militare, che per tutti gli anni 50 e 60 si collocarono intorno ai 250 cc.


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