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Le grandi squadre dell’est continuarono a partecipare a queste competizioni anche in seguito, contribuendo ad accrescere l’interesse generale, grazie all’elevato contenuto tecnologico delle loro moto, finanziate direttamente dallo Stato e forti di tecnologie d’avanguardia, almeno sino alla fine degli anni ’70.
Nell’immaginario collettivo, si presentavano come uomini e mezzi appositamente preparati per affrontare qualunque tipo di percorso, incursori capaci di penetrare agilmente gli schieramenti avversari ed aprire la strada all’armata rossa, che, vittoriosa, avrebbe dovuto portare progresso e libertà in tutto il mondo…
Col senno di poi è legittimo sorridere e tirare anche un respiro di sollievo, ma quelli erano i tempi della guerra fredda e anche una competizione sportiva come le Olimpiadi o la Sei Giorni erano vissuti come una vera e propria esercitazione militare, con l’inevitabile coinvolgimento di spie internazionali, segreti militari trafugati, fughe rocambolesche, vicende avventurose e pesanti crisi diplomatiche.
Per questo motivo, non mancarono i colpi bassi da entrambe le parti.

Alcune Sei Giorni che si svolsero all’est, furuno turbate da episodi misterosi di “sabotaggio”, sempre a danno delle squadre straniere, bilanciati, a onor del vero, da analoghi comportamenti sul versante occidentale, ogni volta che i “nostri” commissari interpretarono in modo capzioso i regolamenti, sempre a danno dei teams d’oltrecortina.
A parte qualche inevitabile risultato discutibile, le moto dell’est, per anni ai vertici delle classifiche mondiali, collezionarono un eccezionale palmares e furono fra le grandi protagoniste dei primi trent’anni di questo sport.
La punta di diamante della loro produzione fu rappresentata dalle macchine della DDR, Simson e MZ, e della Cecoslovacchia, Jawa e Tatran, ma sino alla metà degli anni ’70, anche l’Unione Sovietica partecipò con proprie squadre e proprie moto alle più importanti competizioni internazionali.


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