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1969 – Un’ulteriore spinta a continuare nella ricerca arrivò proprio nel 1969, quando la Cecoslovacchia si trasformò in uno stato federale.
La Povazske Strojarne, e le sue Tatran, erano il fiore all’occhiello dell’industria metalmeccanica slovacca ed è quindi facile immaginare che per loro iniziò un periodo di maggior autonomia ed anche di maggiori risorse.
In occasione della prima prova di Campionato Europeo, Francoforte BDR (12/13 aprile), debuttò, infatti, un nuovo modello della Tatran 75, il 2° Tipo, il cui classico telaio monotrave fu migliorato con l’aggiunta di una robusta doppia culla, ed un tubo di raccordo alla pipa di sterzo.
Anche il retrotreno fu ampliato per accogliere dei lunghi ed efficienti ammortizzatori Girling (costruiti su licenza in Cecoslovacchia), e l’avantreno migliorato grazie all’adozione delle forcelle CZ, con i foderi in alluminio.

La ciclistica era ulteriormente impreziosita da mozzi conici e cerchi in lega leggera, di tipica produzione cecoslovacca, mentre non si notarono cambiamenti nel motore.
Anche in questo 2° Tipo, per proteggere la catena, venne scelto un esile carter in lamierino, aperto.
Una scelta controcorrente rispetto alle “abitudini” cecoslovacche, stabilmente legate al sistema di protezione integrale in lega leggera e gomma.
Sin dai suoi primi esemplari le Tatran si fecero notare per l’esasperata ricerca della leggerezza, che non risparmiò nemmeno le più piccole componenti, sia interne che esterne.
L’estrema essenzialità delle Tatran e l’uso quasi maniacale dei fori di alleggerimento hanno una doppia valenza, che sintetizza  pregi e difetti di queste splendide moto.
Se da un lato sottolineavano un lavoro di ricerca ed una cura estreme, pari alle sofisticate tecnologie diffusamente utilizzate nella realizzazione dei vari modelli, dall’altro costituivano anche il segnale di una fragilità di fondo che fu determinante per impedire il raggiungimento di risultati costanti e soddisfacenti.
Più simili, nei loro connotati tecnologici di base, a moto da cross (se non da pista) che a moto da enduro, si dimotrarono troppo deboli nelle lunghe distanze, così come i motori espressero potenze incredibili, ma poco sfruttabili a causa degli altissimi regimi cui dovevano  perennemente “girare”.


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