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L’azienda venne ufficialmente fondata l'11 luglio 1971, con sede amministrativa a Palazzolo Milanese e stabilimento in Rivolta d’Adda.
La sigla SWM, acronimo di Speedy Working Motors, venne adottata dopo aver scartato la prima ipotesi, SVVM, che faceva riferimento alle iniziali di Sironi, Vergani eVimercate, un altro centro nei pressi di Milano, dove era ubicato il garage di Vergani, all’interno del quale venne realizzato il primo esemplare.
Per i collaudi, direttamente sul campo di gara, vennero chiamati Franco Acerbis, Renato Anesa e Pasquale Bernini, guidati dal team manager Alfredo Manfardini.
In questo primo periodo, di produzione molto limitata, proseguì la ricerca e la sperimentazione; ogni moto prodotta era un piccolo laboratorio su cui venivano testate nuove componenti e soluzioni alternative; fra le più evidenti uno o due tubi di rinforzo sotto il montante centrale o le marmitte allungate e dalle forme insolite.
La stagione si chiuse con la presentazione al pubblico dei suoi più recenti modelli, in occasione del Salone del Ciclo e Motociclo di Milano, e la contemporanea messa in produzione dei primi esemplari, sempre della serie Regolarità, anche se ancora in forma del tutto artigianale.

1972 – Superate rapidamente le inevitabili difficoltà iniziali, l’SWM affrontò il nuovo anno impegnata a 360°, con gli impianti di Rivolta che, lentamente, intrapresero il loro ciclo produttivo, ed una presenza significativa sui campi di gara, con uomini e mezzi di prim’ordine.
Fausto Vergani, Antonio Redrezza, Giuseppe Signorelli, Pierluigi Rottigni e Gualtiero Brissoni rappresentarono ufficialmente la SWM e parteciparono alle prove di Campionato Italiano ed Europeo, cogliendo risultati più che lusinghieri.
Rispetto all’anno precedente i modelli Regolarità furono migliorati nel telaio, grazie a nuovi “fazzoletti” nei punti strategici.
Irrobustite anche le forcelle Marzocchi con steli da 34mm e confermati sul posteriore gli ammortizzatori Marzocchi da 315 mm, regolabili su tre posizioni.
La versione da 50 cc, equipaggiata con lo stesso telaio delle sorelle maggiori, differiva per il mozzo posteriore in lamiera anziché in alluminio, le forcelle con steli da 30mm e per gli attacchi motore che, nella parte inferiore, erano semplicemente costituiti da due viti passanti nel tubo che collegava in basso la doppia culla. Questa soluzione si dimostrò molto fragile e venne presto modificata.
Sempre sul 50, si estese rapidamente la consuetudine di montare il parafango posteriore del modello cross.


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