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CMK – Domino (1968 – 1976)
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Tanto furono belle le sue moto, altrettanto fu confusa ed irrazionale la produzione di serie.
Di fatto non ci fu mai differenza fra moto ufficiali e moto di serie. Erano tutti esemplari unici, quasi integralmente e direttamente costruiti dal progettista.

Genio e sregolatezza caratterizzarono tutta la sua attività e la mancanza di un progetto produttivo concreto impedì all'azienda di decollare.

Quando già l'attività era avviata ed il marchio era uno dei più rinomati del settore non era improbabile ritrovare "Otto" alle prese con la riparazione della lavatrice di casa, sullo stesso banco su cui stava assemblando l'ennesimo prototipo, od in procinto di partire per la Germania per compiere gli ultimi ritocchi ad un telaio "puntato" nel corso della notte.

Nessuno può dire quante moto furono costruite, anche perché gli stessi telai entravano ed uscivano dall'officina di Otto, con significative modifiche, durante tutto il corso di una stagione.
Si può credibilmente supporre che non abbia costruito più di quattro cinque esemplari, smontati per essere ripresi e modificati nel tempo, sino a raggiungere una produzione complessiva di una quindicina di moto: quasi si potrebbe fare un brevissimo elenco di tutti coloro che ebbero la fortuna di averne una per le mani.

Dati i tempi si trattava di un risultato veramente strabiliante poiché, a parte il gigante Sachs nessun altro in Europa poteva disporre di motori con sufficiente potenza per affrontare e vincere questa categoria, considerata off-limit per qualunque altro costruttore italiano dell’epoca.

In questa fase della vita della CMK l’uscita di scena della “Famiglia Polini” ebbe un peso determinante sulle sue sorti.
Pietro e Franco Polini sarebbero stati infatti perfettamente capaci di organizzare una linea di produzione e Pietro, l’aveva ampiamente dimostrato, sarebbe stato perfettamente capace di portare le moto alla vittoria.

Di fronte al bivio se assumere le dimensioni di una fabbrica vera e propria o rimanere in un ambito artigiano, ma eccessivamente limitato, Otto non fu in grado di dare una prospettiva concreta alla sua azienda e dovette subire l’abbandono degli unici collaboratori su cui poteva effettivamente contare.

Gli effetti si fecero subito sentire congelando ogni iniziativa e relegando in una sorta di oblio il marchio CMK.

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