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Laverda (1947 – 1980)
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Il lancio del nuovo Giubileo 98, sicuramente più moderno, valido e vincente, decretò la fine di questa moto, che ormai priva di ogni possibilità di competere venne presto dimenticata da piloti e sportivi.
Dopo diversi anni di silenzio, nel 1966, in occasione del Motosalone di Milano, la Laverda, che ha già in catalogo un buon modello stradale da 125 cc, sempre a 4 tempi, ritorna nel settore del fuoristrada non agonistico proponendo una versione sportiva, che non può essere considerata una moto da competizione, ma che lascia intravedere la volontà di ritornare sulla scena.
Che si tratti di una scelta rinunciataria lo si evince immediatamente dalla sella biposto e dalle ruote da 17” e 16”, capaci da sole di tarpare le ali a qualunque cavallo da corsa.
Si tratta di una moto ottima per passeggiate ed escursioni all’aria aperta senza aver alcuna ambizione di gareggiare, ma già si notano particolari come le forcelle e gli ammortizzatori Ceriani che fanno pensare ad un prodotto più raffinato, ancora non adeguatamente sviluppato.

Il motore, monocilindrico a 4 tempi, è orizzontale; testa e cilindro in lega leggera con camicia in ghisa; distribuzione ad aste e bilanceri con valvole inclinate di 30°.
Alesaggio e Corsa 56x50, pari a 123,15 cc, rapporto di compressione 9,2:1, potenza 10,5 hp a 8500 g/m.
Accensione con bobina AT esterna, cambio a quattro rapporti e carburatore Dellorto da 22 mm.
Il telaio tubolare a doppia culla aperta è sicuramente suscettibile di essere migliorato, ma è leggero e al tempo stesso robusto.
Il ritorno nel settore anche se non al 100% favorisce la realizzazione di una moto vera e, partendo da questo primo modello, si comincia a pensare a qualcosa di meglio, una moto per intenderci che sappia gareggiare almeno con la miglior produzione italiana.
Viene allestito un prototipo che, affidato alle valide braccia di Luigi Gorini, partecipa al Campionato Italiano e riesce anche a conquistare buoni piazzamenti come a Varese (3° di Campionato, aprile 1967) dove si classifica secondo alle spalle di Eugenio Saini su Gilera.
A questo prototipo fa seguito un nuovo modello denominato “Regolarità Corsa – 1° Serie” sicuramente più performante del Trial, grazie ad un motore più potente (11 hp), ma ancora supportato da un cambio a quattro marce;
le ruote da 19 x 18 costituivano un significativo miglioramento e permettevano alla moto di scendere in campo.
Sparisce la pesante e antiestetica batteria sotto la sella e compare al suo posto un più comodo bauletto porta attrezzi, come pure vengono completamente eliminati tutti gli inutili dettagli destinati al passeggero.
Il tubo di scarico con il tromboncino finale ed il parafango posteriore evocano le curve della Gilera Regolarità, ma la moto conserva una forte identità e si dimostrò anche in grado di ben figurare.

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